Friday, December 14, 2007

DISCESA DI CLASSE (da "espresso.it", Dec 14 - 2007)



Meno soldi. Un lavoro meno qualificato. E' la mobilità sociale al contrario. Quella dei figli che stanno peggio dei padri. Soprattutto nelle famiglie di dirigenti e imprenditori. Ma anche in quelle di impiegati e operai




Roma, Torino, Napoli, Milano, ovunque tra i giovani italiani il gioco dell'oca è tornato di moda. Un gioco, però, a cui nessuno vorrebbe partecipare, perché inevitabilmente milioni di concorrenti finiscono sulla casella che obbliga a tornare al punto di partenza. In un percorso che, fuor di metafora, li costringe a scendere la piramide sociale peggiorando lo stile di vita conosciuto nella famiglia d'origine. Un fenomeno che in Occidente non si osservava dalla seconda guerra mondiale.

Difficile, dunque, che Simone Gracco, classico figlio di papà della Roma bene, immaginasse da piccolo che a 36 anni avrebbe passato gran parte delle ferie estive nei bollenti parchi della città. Nato da un architetto benestante, madre professoressa al liceo, dopo la laurea in economia ha trovato un posto a 1.200 euro al mese in una piccola azienda fuori porta. Ci lavora da quattro anni, ma lo stipendio è fermo al giorno dell'assunzione. "Da bambino andavo a Capalbio per un mese, e d'inverno la settimana bianca a Corvara era di rigore. Ora, con grandi sforzi e un aiuto del mio vecchio, riesco a fare al massimo sei giorni in un villaggio all-inclusive. Quando mio figlio compirà due anni dovrò pagare anche la sua quota. Sarà un disastro".
Ugo Reggiani (chiede un nome di fantasia, "non voglio guai"), torinese e ricercatore universitario a progetto, ricorda la guerra tra due potenti baroni della sua facoltà. "Stranamente, non si erano organizzati come al solito. In un concorso per una cattedra di diritto si scannarono per piazzare i rispettivi figli. L'erede del perdente ha dovuto cambiare lavoro e status: ora fa l'impiegato in un'assicurazione". Ad Antonio Migliaccio, 34 anni, di Napoli, è andata meglio. Ingegnere come papà, ha evitato uno scivolamento di ceto emigrando in Irlanda. "Elaboro sistemi informatici, e dopo un anno sono arrivato a guadagnare tremila euro. Se sei sveglio gli scatti di carriera sono fulminei, si cambia azienda ogni sei mesi. Ora vivo agli stessi livelli di mio padre trent'anni fa. Forse addirittura meglio: io ho un'Audi presa a rate, lui guidava la Fiat 850".

Antonio è un'eccezione. Se negli ultimi tempi i sociologi denunciano la mancanza di mobilità sociale e i politici d'ogni schieramento promettono potenti iniezioni di meritocrazia, dal Duemila la situazione è invece drasticamente peggiorata: l'ascensore sociale è in movimento, i giovani ci salgono sopra ma, invece di salire o, almeno, restare fermi al livello della classe d'origine, spesso e volentieri si ritrovano a scendere sui pianerottoli più bassi.

Ascensore per l'inferno
L'"indietro tutta" non interessa solo la prole del ceto medio e degli operai. Sono soprattutto i figli dei dirigenti e degli imprenditori a dover abbandonare la posizione conquistata dal padre o dal nonno. I dati Istat e Censis sono fermi al 2002, ma letti nelle pieghe segnalavano già il pericolo. Ora 'L'espresso' ha consultato lo studio Ilfi, un'indagine sulle famiglie che ha coinvolto quasi10mila individui - elaborata da esperti della Bicocca di Milano, dall'università di Trieste e Bologna - dimostra che, lungi dal vivere un nuovo ciclo di rimescolamento sociale, i giovani si dirigono senza scampo verso il declino. Se la metà degli italiani dai 18 ai 37 anni ricalca pari pari la strada di papà e mamma e il 7,4 per cento fa un lavoro diverso ma resta inchiodato al censo d'origine, e ben il 24,4 per cento scende a rotta di collo la piramide sociale. Uno scivolamento 'silenzioso': come notano gli osservatori più attenti, nonostante tirocini umilianti, mansioni pagate quattro soldi e subalternità al potere dei gerontocrati, la generazione nata a cavallo tra i Sessanta e i Settanta non ringhia. E non combatte, al contrario dei propri padri protagonisti del '68 e del '77, la guerra generazionale per la propria emancipazione.

I dati fotografano impietosamente la caduta. Solo un quarto dei figli dell'alta borghesia riesce a fare il dirigente o il libero professionista, magari nello studio di famiglia. Quasi la metà è costretta ad accontentarsi di una scrivania e fa l'impiegato 'qualificato', il 7 per cento decide per il lavoro autonomo, mentre il 23 per cento scende molti gradini e diventa operaio o manovale nei servizi. Anche i colletti bianchi riescono con difficoltà a mantenere posizioni: una piccola minoranza ha successo e fa il salto di classe, ma oltre il 36 per cento finisce, volente o nolente, nei ceti subalterni.

Gli artigiani, i commercianti e le partite Iva sono le categorie più mobili, ma il ritorno alle origini tocca quattro rampolli su dieci. Anche i figli ventenni delle tute blu hanno meno possibilità di affermarsi rispetto ai pari-censo degli anni Sessanta: solo cinque su cento sfondano come imprenditori e professionisti, la massa (il 60 per cento) è destinato alla fabbrica. La scalata alle professioni intellettuali, obiettivo dei proletari sessantottini, resta una chimera. "Un paradosso. Perché la generazione che va dai 20 ai 40", spiega il sociologo Antonio Schizzerotto, curatore della ricerca e massimo esperto italiano in materia, "è in media molto più istruita e preparata dei padri e dei nonni. Conosce le lingue straniere, ha possibilità di muoversi in un mondo globalizzato, ma in termini reali è molto più povera. Anche chi resta al piano rischia di peggiorare il proprio ménage: fare l'impiegato oggi ha molti meno vantaggi di un tempo, i differenziali con i salari di chi suda in catena di montaggio sono enormemente diminuiti". La questione centrale è che, in Italia, non c'è stato un vero passaggio al terziario avanzato, come nel resto dei paesi occidentali. "Se negli anni '60 e '80 la scolarizzazione di massa prima e la nascita della società dei servizi poi portò nuova ricchezza e un boom dei sorpassi sociali, negli anni '90 e nel 2000 siamo rimasti congelati. La mobilità ascendente (al 21 per cento, ndr) è dovuta in gran parte a fattori esogeni, alla scomparsa di mestieri come i coltivatori diretti e i contadini. In realtà non ci stiamo modernizzando per niente. Non stupiamoci se il mercato del lavoro è asfittico ed è caratterizzato da settori ipermaturi".

Redditi da fame
L'abbassamento dei salari negli ultimi sette anni ha riguardato quasi tutti i dipendenti, ma la vera proletarizzazione colpisce soprattutto le nuove leve. Nemmeno il capitale familiare e le reti relazionali, che in Italia valgono tradizionalmente più delle risorse culturali e del merito individuale, sembrano bastare più. La sindrome della quarta settimana investe anche 'segnalati' e raccomandati. Se molti puntano il dito contro una presunta pigrizia generazionale e il mito del 'tutto e subito', tanto che persino il ministro dell'Economia Tommaso Padoa-Schioppa ha criticato "i bamboccioni" attaccati alla gonnella di mammà, uno studio della Banca d'Italia firmato da Alfonso Rosolia e Roberto Torrini, ancora non pubblicato in italiano, mostra come nel corso degli anni Novanta e Duemila la busta paga dei giovani si sia drasticamente ridotta rispetto a quella del decennio precedente. Alla fine degli anni Ottanta le retribuzioni nette degli under 30 erano più basse del 20 per cento rispetto a quelle dei senior.
Nel 2004 il gap è raddoppiato, crescendo fino al 35 per cento. "Un andamento", dicono gli autori del paper, "riscontrabile a tutti i livelli di istruzione". Il crollo dei salari d'ingresso è spaventoso: spulciando dati dell'archivio dell'Inps del settore privato, si stima che dal 1992 ai primi anni del millennio sia i diplomati che i laureati siano tornati sui livelli di venti anni prima. Oggi, al netto del lavoro nero, il 27 di ogni mese intascano poco più di 1.100 euro. "Un riduzione non controbilanciata" chiosano gli studiosi "da una carriera e da una crescita delle retribuzioni più rapida. La perdita di reddito nel confronto con le generazioni precedenti risulta in larga parte permanente". Un controsenso, visto che l'invecchiamento della popolazione avrebbe dovuto contribuire a sostenere il portafoglio degli junior, sempre meno numerosi ma sulla carta più colti e preparati. Se la crisi ha toccato milioni di famiglie, la redistribuzione degli stipendi è stata invece asimmetrica, a tutto vantaggio degli anziani. Non solo: in Italia al di là del mestiere e dello status, anche la correlazione tra le buste paga è fortissima. Un altro report dell'ufficio studi, elaborato da Sauro Mocetto, sottolinea infatti che, se i tuoi genitori guadagnano poco, è assai probabile che anche il tuo stipendio sarà basso. I paesi scandinavi, Svezia in testa, sono i più dinamici, seguiti a ruota dal Canada e dalla Gran Bretagna. I figli dei poveri possono diventare ricchi più facilmente anche in Francia e Stati Uniti, che galleggiano a metà classifica, mentre l'immobilismo è massimo nel nostro Paese e in Brasile, ultimo nella graduatoria dei casi analizzati.

L'Italia degli ignoranti
Al di là delle divisioni di classe, protagonisti assoluti del gioco dell'oca sono i laureati. Negli anni '60 l'agognato pezzo di carta permetteva di scalare le gerarchie e regalava carriere fulminanti, oggi università poco selettive sembrano aver generato, invece di maggiori opportunità, un'offerta di dottori sproporzionata rispetto alle esigenze del sistema. "Non conviene investire come un tempo nell'istruzione. Le imprese cercano soprattutto tecnici diplomati, i cervelli sono troppi e il mercato non riesce ad assorbirli", sentenzia Schizzerotto. Anche secondo i dati Istat e Almalaurea la laurea paga poco e su tempi lunghi. "Ma non ci sono certezze", aggiunge Luca Bianchi, vicedirettore della Svimez. "Ho due amici romani di 40 anni, laureati in legge da oltre dieci anni, che hanno trovato solo un impiego nei call center. Abitano nella casa di papà, niente moglie e marmocchi, l'utilitaria presa di seconda mano. I genitori sono impiegati di buon livello: un classico esempio di arretramento dal ceto medio a posizioni borderline".
Se la riforma del 'tre più due' ha peggiorato il grado di preparazione e le matricole continuano a snobbare le più redditizie materie scientifiche, l'inflazione dei titoli di studio è da addebitare anche alle politiche delle imprese. Gli investimenti in ricerca e sviluppo languono, e le figure professionali più gettonate restano tecnici specializzati. Alla fine del 2007, secondo l'analisi Excelsior di Unioncamere, su 100 assunti solo 9 saranno laureati. Verranno usati come dirigenti, ma anche come impiegati (gli ingegneri a mille euro non si contano) e addetti alle vendite. Agli industriali i dottori interessano ancora meno: solo 5 assunzioni su cento saranno destinate a loro. Per lavorare a salario minimo basta un diploma, l'istruzione professionale e, per un assunto su tre, la sola scuola dell'obbligo.

La carica dei dipendenti
Seguire il sentiero già percorso dai genitori, nell'anno di grazia 2007, è quasi una necessità. Il 'familismo amorale', come lo chiamano i sociologi, diventa spesso l'unica risposta alla recessione. Così nepotismo e autoriproduzione delle professioni invece di diminuire, crescono esponenzialmente. Non c'è liberalizzazione, non c'è Bersani che tenga. Se una recente inchiesta della magistratura ha svelato il mercato dei test per l'accesso alle facoltà a numero chiuso (a Bari sembra che gli acquirenti fossero soprattutto medici e dentisti), a Napoli la cattedra è sempre più un diritto ereditario. Nel 2002 un rapporto del giornale universitario 'Ateneapoli' scoprì che alla facoltà di Economia della Federico II il 16 per cento dei professori era imparentato con un collega, cinque anni dopo - denuncia un dossier della Confederazione degli studenti - la percentuale è salita al 26 per cento. Padri e figli, mogli e mariti, fratelli e cognati. La politica non fa eccezione: nel neonato Partito democratico il giovane segretario provinciale di Avellino appena eletto si chiama Giuseppe De Mita, nipote di Ciriaco, mentre a Reggio Calabria i delegati hanno eletto Alessia Zappia, figlia dell'ex segretario Ds scomparso tre anni fa. Alan Baccini, rampollo del leader Udc, è commissario nazionale dei giovani del partito. A volte la pratica del passaggio di testimone nelle aziende è persino contrattualizzata: negli ultimi anni, dalla Caripe alla Sea di Milano, fino alla Fincantieri e agli esuberi di Intesa-Sanpaolo, i sindacati hanno benedetto senza vergogna la staffetta tra padri e figli come incentivo per il prepensionamento.

Nel Nord una ricerca dell'Opes ha dimostrato che, soprattutto in Trentino, qualcosina si muove, e la meritocrazia crea più opportunità rispetto al resto d'Italia. Non per tutti, però. "Gli under 35 che vengono da famiglie meno abbienti", racconta Daniele Marini, direttore della Fondazione Nordest, "per mantenere il proprio status sono costretti a consumare molto più dei loro genitori. Computer, cellulari, vacanze e master: oggi le famiglie si impoveriscono anche perché investono i risparmi per sostenere una prole non autosufficiente". La recente riconversione industriale ha aperto la strada a giovani imprenditori in settori di nicchia, ma per i figli delle corporazioni la cruna dell'ago è sempre più stretta. "Medici, avvocati e giornalisti trent'anni fa erano pochi, nel Duemila gli Ordini professionali scoppiano di iscritti. Ovvio che per raggiungere il livello conquistato dalla famiglia ci voglia molto più tempo". Nel felice Triveneto della piena occupazione c'è anche una quota minoritaria di persone che sceglie di fare il gambero, camminando all'indietro per scelta personale. "La cultura della gratificazione e il culto del tempo libero si è diffuso a macchia d'olio. Conosco bancari e commercialisti che si sono trasformati in volontari o collaboratori di centri per l'infanzia", racconta Marini.

Nel Mezzogiorno il libero arbitrio è un lusso che pochissimi possono permettersi. Mantenere le posizioni sociali acquisite dalla nascita è già un successo insperato. "La novità è che l'ascensore viaggia verso il basso anche per le fasce più alte, che in passato godevano di collaudati cuscinetti di protezione", racconta Bianchi, che delle Svimez è tra i ricercatori più esperti. "Il mercato è ai minimi, e quel poco che resta del settore privato boccheggia. C'è solo la grande balena pubblica, che a fatica foraggia un po' tutti". Non stupisce che uno studio Istat-Svimez sui laureati meridionali del 2001 dimostra che, a tre anni dalla tesi, parte consistente dei rampolli dell'alta borghesia tenti la fortuna emigrando al Centro-Nord: chi rimane è costretto a fare il dipendente, accettando stipendi da fame. Nel pubblico finiscono anche i figli di imprenditori, commercianti e liberi professionisti: solo uno su tre ha i capitali per rischiare in proprio, il resto finisce dietro una scrivania con un contratto a progetto. "Sono i più fortunati, non dimentichiamolo", chiude Bianchi, "il tenore di vita peggiora rispetto alle abitudini familiari, ma almeno un lavoro ce l'hanno. Secondo i nostri calcoli invece quasi 800mila ragazze del Sud, figlie delle sessantottine che riuscirono ad emanciparsi e a diventare impiegate e insegnanti, sono tornate tra le mura domestiche a fare le casalinghe, come le loro nonne: un salto all'indietro dal sapore medioevale che fa tremare i polsi".

IS THE SALMON PUT ON RISK OF EXTINCTION? (da "digital.vancouversun.com", Dec 14 - 2007)


"Fish farms could push Pacific salmon to extincion" a study said.




A groundbreaking scientific study has today established for the first time a large-scale and deadly link between fish farms and sea lice infestations that threatens to wipe out entire populations of wild Pacific salmon.

An article to be published in Friday's edition of Science, one of the world's foremost scientific journals, says wild pink salmon runs on the British Columbia central coast will be extinct in as little as four years because of a cluster of salmon farms that are creating lethal infestations of sea lice in that area.

The article's authors, including University of Alberta researcher Martin Krkosek and B.C.'s Alexandra Morton, looked at 37 years' worth of Fisheries and Oceans data for 71 central coast rivers and found that wild pink runs have comfortably withstood decades of commercial fishing -- but cannot survive fish farms.

"We have seen is a very rapid four year decline in the pink salmon populations in the Broughton," Mr. Krkosek said in an interview earlier this week.

"Based on that measured rate of decline, which is real, we can expect that in another four years those fish will be all gone if the sea lice infestations continue."

The situation has become acute since 2000 as the salmon farming industry has increased the volumes of fish it produces at its farms.

The situation has implications for grizzly bears, killer whales and numerous other species -- even trees along streams -- that rely on pinks as a major source of food or nutrients.

Sea lice hyper-concentrate around the farms and spread to wild salmon migrating in the vicinity of the farms. The lice may not be lethal to adult fish, but they're deadly for infant pink salmon making the transition to the ocean from their natal streams.

The article says the situation is particularly acute for wild pinks on the central coast around the Broughton Archipelago, which has the greatest concentration of salmon farms in B.C.

The report says lice infestation rates are 70 times higher among juvenile pink salmon on central coast rivers compared to infestations in fish farm-free areas farther north.

It also says mortality rates among juvenile pinks infested with sea lice "is commonly over 80 per cent."

"If outbreaks continue, then local extinction is certain, and a 99% collapse in pink salmon abundance is expected in four pink salmon generations," the article says.

The study brings an element of finality to the debate about the threat salmon farms pose to wild fish. It also puts Canada's federal and provincial governments, and the salmon farming industry, at odds with the reigning body of opinion in the global scientific community.

Only last summer, the Vancouver Sun reported that a B.C. government-financed fisheries research group had suppressed a report on links between sea lice and declining wild fish populations.

At the time, a senior federal fisheries scientist government stated in the Sun story that there was no evidence that sea lice from fish farms are having population-level impacts on wild fish.

The notion that farm-caused lice infestations may harm individual fish, but pose no extinction threat to entire populations, is the underpinning of the governments' resistance to tighter controls on salmon farming.

On the premise that there are no population-level threats, both B.C. and Canada have resisted calls from environmental groups to move farms away from salmon-migration areas, or to ban the practice of raising salmon in open-net sea pens that allow transfer of disease to wild fish.

That argument has been fundamental to worldwide resistance by the salmon farming industry of any improvement of its methods. But it now appears that argument can no longer withstand critical scrutiny.

Mr. Krkosek said the article's authors chose to study pink salmon because they have the simplest, easy-to-track life cycle of any of five Pacific salmon species. That made it easy to discern and formalize for the first time the connection between fish farms and wild salmon extinction threats, he said.

"One of the things that has really plagued research on sea lice and salmon and has made it very difficult, in fact impossible until now, to measure the impact of sea lice on wild salmon populations is that they are hard to study," Mr. Krkosek said.

"These kind of problems have been known for decades, especially in Europe but still today it's not clear if sea lice have had an impact on the populations.

"Pink salmon are abundant enough, they have a short enough life cycle, they are predictable in their migration behavior, they have enough characteristics to let us study them in the level of detail that's necessary to actually measure the impact of sea lice on the populations."

According to a University of Washington fisheries professor who reviewed the Science article prior to publication, the calculations linking salmon farms to wild salmon extinctions are simple and straightforward.

"This is pretty good evidence that there are population-level impacts. In the past individual impacts were noted -- fish swim by farms and get sea lice, you hold them in pens and they die," said Mr. Hilborn, formerly a Vancouver-based scientist with Environment Canada who is now a professor of fisheries management at U. of Washington.

Mr. Hilborn predicted that government will find the issue difficult to resolve, regardless of the extinction threats, because the B.C. salmon farming industry is a big employment and revenue generator for the province.

"If I was the B.C. minister of fisheries and I was considering if I was going to shut down this big industry to rebuild these 15 streams it wouldn't be a clear call," Mr. Hilborn said. "It's just another piece of evidence that if you produce these high density [farm] populations you are going to be a source of pathogens -- and that they have population-level impacts."

Mr. Hilborn reviewed the calculations in the paper and said "it's exactly what I would have suggested doing. It's not any kind of complicated analysis. You just look at the rate of change from one generation to another."

NEW JERSEY ABOLISHED DEATH PENALTY (da "guardian.co.uk", Dec 14 - 2007)


New Jersey to become first state in four decades to abolish death penalty


For the first time in more than 40 years a US state is to abolish the death penalty.

A 44-36 vote in the New Jersey legislature to abolish executions in the state yesterday followed approval for the measure in the state senate on Monday.

The bill now goes to the desk of New Jersey governor, Jon Corzine, a Democrat who has spoken in favour of abolishing the death penalty. The measure will be replaced with a sentence of life without parole.

It comes as the debate over the application of the death penalty intensifies in the US. While 1,099 people have been executed since the supreme court reauthorised the death penalty in 1976, the rate of executions has slowed in recent years as concerns have been raised about whether the procedure most frequently used, lethal injection, violates the constitution's ban on "cruel and unusual punishment".

Executions have been on hold across the US while the supreme court considers the issue. New Jersey will become the 14th state without a death penalty; 36 states and the federal government and the US military retain it.

In 1999, 98 people were executed in the US. By last year, that number had fallen to 53, the lowest since 1996. In 2006, the US ranked sixth in the world for executions behind China, Iran, Pakistan, Iraq and Sudan.

A New Jersey state commission found in January that the death penalty was expensive to administer, had no deterrent effect and carried the risk of killing an innocent person. It was, said the commission, "inconsistent with evolving standards of decency".

"We would be better served as a society by having a clear and certain outcome for individuals that carry out heinous crimes," Corzine said.

"That's what I think we're doing, making certain that individuals would be imprisoned without any possibility of parole."

No one has been executed in New Jersey since 1963. The state reinstated the measure in 1982, but since 2004 it has been barred from carrying out executions after a court ruling that it should review its procedures.

Eight men on death row will now be spared. Among them is Jesse Timmendequas, who was convicted of killing seven-year-old Megan Kanka in 1994. That case gave rise to Megan's law, which requires authorities to notify the public of sex offenders living in their communities.

IO, VIOLENTATA NEL PARADISO DEI TURISTI (da "repubblica.it", Dec 14 - 2007)


"Io, violentata nel paradiso dei turisti"
Nel Paese lo stupro non è reato:
"Mi hanno detto che non c'è una legge"




ROMA - Ultima notte di quiete nel paradiso dei turisti tra spiagge bianche, acque limpide e barriere coralline. Poi all'improvviso la violenza. "Sento ancora le sue mani addosso, il cuscino premuto sulla bocca fino a togliermi il fiato per non farmi gridare, mentre quell'uomo mi schiaccia, mi imprigiona col suo peso e mi stupra".

Per una giovane architetta bolognese in vacanza in barca alle Maldive con un gruppo di dieci subacquei il sogno pagato 1300 euro con un biglietto last minute si è trasformato in un inferno. Violentata da un marinaio dell'equipaggio, trattata come una che "ha avuto un brutto sogno", guardata con "indifferenza dalla polizia di Malé tanto lì la violenza contro le donne non è neppure considerato un reato".

Elena, nome, città e mestiere di fantasia per proteggere chi ha già subito troppo, parla con tono pacato ma la rabbia è profonda come la ferita di chi ha subito una doppia violenza. E si sente trattato come una cosa, come un oggetto neppure degno di essere protetto dalla legge, che punisce i ladri ma non gli stupratori. "La violenza mi poteva capitare ovunque, a Milano come a Roma, ma almeno da noi è reato". Un delitto contro la persona dal '96, prima era solo contro la pubblica morale.

Parla, racconta, rivive cercando di mettere una barriera di distacco, senza enfasi, con la lucidità di chi vuole giustizia. Con la concretezza di chi è abituato a girare il mondo, di chi ha viaggiato dall'Africa all'oriente, conosce mondi e tradizioni diverse e non metterebbe mai in imbarazzo chi ha culture opposte. "Tanto che sapendo di essere in un paese musulmano non stavo in costume anche perché facendo quattro immersioni al giorno si viveva praticamente con la muta", dice. Quasi ci fosse bisogno di sottolineare che lei non ha messo in tentazione nessuno, che non cercava avventure. Come se dovesse giustificarsi per aver subito violenza.

"Siamo partiti a fine novembre, ci siamo ritrovati a Malé con la comitiva italiana, tutti appassionati di fondali, e il giorno dopo siamo partiti per la crociera". Ogni giorno un atollo diverso, una barriera nuova accompagnati dal doney, la piccola imbarcazione per le gite con le bombole, oltre alla barca dove dormivano turisti e nove persone di equipaggio.

Una settimana da sogno. Poi la violenza. "Quella notte l'equipaggio maldiviano deve aver bevuto, non ci sono abituati. Verso le quattro di notte mi sveglio, c'è qualcuno nella mia stanza, mi si getta addosso mi preme il cuscino sulla faccia mi violenta senza che riesca a gridare. Quando ce la faccio a divincolarmi scappa nel buio e io finalmente chiamo aiuto".

Accorrono gli altri turisti, ma l'atteggiamento del capitano è ambiguo. "Mi dice: è stato solo un brutto sogno, però si scusa a nome dell'equipaggio e mi chiede di non chiamare la polizia". Ma Elena ha già parlato col console italiano che le ha consigliato di fare la denuncia e con un carabiniere che era in barca si fa portare dalla police a Malè. "Raccolgono la mia versione, mi dicono che tanto lì non c'è una legge per la violenza alle donne, ma io non mi fermo. Voglio giustizia, voglio che tutti sappiano come sono le leggi in certi paesi, cosa può accadere se un tour operator organizza le cose in modo superficiale".

Wednesday, December 12, 2007

Royksopp - In Space

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Royksopp - Sparks

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No much I gained or break, it's those tiny little spots
Daily life that makes me forget my wounded heart
It doesn't matter when, it may rain or it may shine
Glow and reason months come back from time to time
(repeat)

No much I gained or break, it's those tiny little spots
Daily life that makes me forget my soggy heart
It doesn't matter when, it may rain or it may shine
You will always be here stored inside my mind

And I give you all my love
Sparks some fly
Tell you what I'm feeling, though
Oh, whoa, oh....

I can give you a thousand years
You'll be here
Leave you with a thousand tears
Oh, whoa, oh.....

Whoa, whoa....oh, oh

Can I be so alone?
Can I be so alone?



Thursday, December 6, 2007

CLIMATE SCIENTISTS CALL FOR URGENT EMISSION CUTS

Greenhouse gas emissions must be urgently cut, with reductions of at least 50% by 2050, climate scientists warned today.

More than 200 leading international climate scientists attending the UN climate change conference in Bali called for emissions to peak and decline within the next 10 to 15 years.

If emissions are not limited, millions face extreme events such as droughts, flooding and rising sea levels, the scientists said.

In the "Bali declaration" published today, the scientists say that a new international deal on climate change must ensure global warming does not exceed a 2C rise above pre-industrial levels.

Today's declaration said: "The amount of carbon dioxide in the atmosphere now far exceeds the natural range of the past 650,000 years and it is rising very quickly due to human activity.

"If this trend is not halted soon, many millions of people will be at risk from extreme events such as heat waves, drought, floods and storms, our coasts and cities will be threatened by rising sea levels, and many ecosystems, plants and animal species will be in serious danger of extinction."

Negotiations on a new treaty have to begin now and be completed by 2009, with targets of keeping warming below 2C by reducing global emissions by 2050 and ensuring they peak and decline in the next 10 to 15 years, they said.

"As scientists, we urge the negotiators to reach an agreement that takes these targets as a minimum requirement for a fair and effective global climate agreement," the declaration said.

Corinne Le Quere, of the University of East Anglia and the British Antarctic Survey, is one of the scientists who have signed up to the initiative, which is under the auspices of the Climate Change research centre at the University of New South Wales, Australia.

She said: "Climate change is unfolding very fast. There is only one option to limit the damages: stabilise the concentration of CO2 and other greenhouse gases in the atmosphere.

"There is no time to waste. I urge the negotiators in Bali to stand up to the challenge and set strong binding targets for the benefit of the world population."

The warning comes after the Intergovernmental Panel on Climate Change assessment this year, drawing on work by thousands of scientists, which said that warming was "unequivocal" and was at least 90% likely to be mostly caused by humans.

UOMO E CLIMA MINACCIANO L'AMAZZONIA

Una veduta della foresta amazzonica


In occasione della conferenza di Bali l'organizzazione rende noto un nuovo studio
"Il 60% del polmone verde è a rischio per colpa di agricoltura, allevamento e riscaldamento"

"Uomo e clima minacciano l'Amazzonia"
allarme del Wwf per salvare la foresta


ROMA - Nell'arco dei prossimi venti anni più della metà della foresta amazzonica rischia di essere danneggiata in maniera irrimediabile dallo sfruttamento dell'uomo e dai cambiamenti climatici. A lanciare l'allarme è il Wwf che in occasione del vertice mondiale sul riscaldamento globale in corso a Bali, ha presentato una ricerca che documenta il precario stato di salute del grande "polmone verde" della Terra.

"Entro il 2030 il processo di deforestazione in Amazzonia - sottolinea un comunicato del Wwf Italia -, potrebbe rilasciare nell'atmosfera dai 55,5 a 96,9 miliardi di tonnellate di CO2, e 96,9 miliardi vuol dire più di due anni delle attuali emissioni globali di gas serra a livello mondiale. Il complesso della foresta amazzonica è inoltre uno degli stabilizzatori chiave del sistema climatico globale e la sua distruzione costituirebbe una seria minaccia per l'intero equilibrio del Pianeta".

"L'importanza della foresta amazzonica per il clima globale non va sottovalutata", osserva Dan Nepstad, Senior Scientist al Woods Hole Research Centre in Massachussets, autore dello studio. "La sua conservazione - prosegue - è essenziale non soltanto per i processi di raffreddamento delle temperature globali; l'area amazzonica garantisce un'immensa fonte di acqua dolce in grado di influenzare alcune delle correnti oceaniche, e soprattutto è un ingente serbatoio di carbonio".

Le tendenze all'espansione delle attività agricole, delle zone di pascolo per il bestiame, degli incendi, della siccità e delle continue azioni di deforestazione - denuncia ancora il Wwf - costituiscono una seria minaccia per l'intera foresta pluviale e potrebbero causare la distruzione o il severo deterioramento del 55% dell'intera foresta amazzonica entro il 2030.

"Se, come anticipato dalla comunità scientifica - prosegue la nota dell'associazione ambientalista - le precipitazioni si ridurranno in futuro del 10%, allora un ulteriore 4% delle foreste sarà danneggiato dalla siccità. Il riscaldamento globale in effetti può causare una riduzione delle precipitazioni fino al 20% soprattutto nelle regioni orientali, con un aumento delle temperature locali di 2 gradi centigradi, che potrebbero drammaticamente salire fino a 8 gradi entro la metà del secolo".

"L'accordo sul clima, il cosiddetto Kyoto Plus, in discussione a Bali, include misure tese a ridurre le emissioni generate dalle foreste", spiega Mariagrazia Midulla, responsabile del Programma clima del Wwf Italia. "Fallire nella protezione della foresta amazzonica - conclude - significa non soltanto un disastro per milioni di persone che vivono in quella regione, ma anche una minaccia per la stabilità climatica del mondo".

Wednesday, December 5, 2007

W IL "MADE IN CHINA"



DETROIT - Tests on more than 1,200 children's products, most of them still on store shelves, found that 35 percent contain lead — many with levels far above the federal recall standard used for lead paint.

A Hannah Montana card game case, a Go Diego Go! backpack and Circo brand shoes were among the items with excessive lead levels in the tests performed by a coalition of environmental health groups across the country.

Only 20 percent of the toys and other products had no trace of lead or harmful chemicals, according to the results being released Wednesday by the Michigan-based Ecology Center along with the national Center for Health, Environment and Justice and groups in eight other states.

Of the 1,268 items tested, 23 were among millions of toys recalled this year.

Mattel Inc. recalled more than 21 million Chinese-made toys on fears they were tainted with lead paint and tiny magnets that children could accidentally swallow. Mattel's own tests on the toys found that they had lead levels up to 200 times the accepted limit.

The Consumer Action Guide to Toxic Chemicals in Toys, which is available to the public at http://www.healthytoys.org, shows how the commonly purchased children's products rank in terms of containing lead, cadmium, arsenic and other harmful chemicals. It comes in time for holiday shopping — and amid the slew of recalls.

"This is not about alarming parents," said Tracey Easthope, director of the Ecology Center's Environmental Health Project. "We're just trying to give people information because they haven't had very much except these recall lists."

Easthope said 17 percent of the children's products tested had levels of lead above the 600 parts per million federal standard that would trigger a recall of lead paint. Jewelry products were the most likely to contain the high levels of lead, the center said, with 33.5 percent containing levels above 600 ppm. Among the toys that tested above that limit was a Hannah Montana Pop Star Card Game, whose case tested at 3,056 ppm.

The American Academy of Pediatrics recommends a level of 40 ppm of lead as the maximum that should be allowed in children's products. Lead poisoning can cause irreversible learning disabilities and behavioral problems and, at very high levels, seizures, coma, and even death.

A spokeswoman for New York-based Cardinal Industries Inc., which sells the Hannah Montana game, said Tuesday that Cardinal was unaware of the environmental groups' tests or procedures but the product has passed internal tests.

"We test every (product) before it ships numerous times," Bonnie Canner said. "We have not tested this product high for lead."

Easthope said the product is manufactured in China. Canner declined further comment until she had more information.

The center and its testing partners found The First Years brand First Keys, Fisher-Price's Rock-a-Stack and B.R. Bruin's Stacking Cups were among the 20 percent that contained none of the nine chemicals.

"There's a lot of doom and gloom about lead in the products — people only hear about the recalls," said Jeff Gearhart, the Ecology Center's campaign director. "Companies can make clean products. Our sampling shows that there's no reason to put lead in a product."

Gearhart and Easthope said the products, while not necessarily representative of everything on the market, were considered among those commonly bought and used. Testers purchased most at major retailers such as Wal-Mart, Toys "R" Us and Babies "R" Us.

The testing began in 2006 but most of the items were checked in the past six months, Gearhart said.

Calls to a Mattel spokeswoman were not immediately returned Tuesday. A Wal-Mart Stores Inc. spokeswoman declined to comment because the company had not seen the report.

Toys "R" Us Inc. spokeswoman Kathleen Waugh also declined to comment because she needed to fully review the report's findings, referring questions to the Toy Industry Association.

Joan Lawrence, the association's vice president of standards and safety, said the group and its members support limiting accessible lead in children's products. But she said the industry and standard-setting bodies are struggling with how to measure exposure, accessibility and what limits to set.

She said she hasn't seen all of the Ecology Center's findings but called them misleading because the testers did not appear to follow recognized test procedures for lead and other substances. The two most common ways are to use solutions to simulate saliva and digestion, and another to attempt to dissolve the surface coating.

The center and its testing partners performed what they describe as a "screening" of chemicals using a handheld X-ray fluorescence device that detects surface chemical elements.

"The mere presence of any substance alone is only half of the answer — you need to know if it's accessible to the child," Lawrence said. "We can't tell that from what I know of the tests that have been done by this group."

Easthope said her group's tests aren't meant to replace those tests, and that's noted on the Web site. She said it's important for people to know what's in these products since nobody else is providing this data.

"We're not saying that ... all of it will come out into a child," she said. "We're saying it's a concern that so much of these products have these chemicals of concern in them.

"We shouldn't have lead in kids' products. We can make products without lead in them."

U.S. Consumer Product Safety Commission spokesman Scott Wolfson said he also hasn't seen the Ecology Center's tests but said the federal agency would seek to verify its findings and initiate recalls if warranted.

He said the commission has been meeting with ASTM International, which spearheads voluntary safety standards for toys, to discuss crafting standards specific to lead in plastics. He said there also is movement on Capitol Hill to revise laws on lead in children's products.

Wolfson said the commission launched 40 toy recalls in fiscal year 2006, three involving lead-paint violations. In 2007, there were 61 recalls, 19 involving lead-paint violations.

"What we would like to consumers to know is more recalls are on the way," he said.