Sunday, March 30, 2008

L'Italia della realtà e quella della tv (da "Repubblica.it", Mar 30 - 2008)


Caro direttore, vedere l'Italia. Candidarsi a guidare un Paese implicava per me quest'obbligo e questa grande curiosità. Vedere l'Italia fa bene. Fa bene uscire dal racconto che la televisione ci regala ogni giorno e sul quale - ne ho raggiunto ormai la piena consapevolezza - tutto il dibattito pubblico si è riferito in maniera ossessiva e facile negli ultimi anni. Anche la politica.


Ho visitato più di ottanta province e alla fine del mio viaggio le avrò viste tutte. In Italia, l'Italia della televisione non c'è. C'è un Paese diverso. Un altro programma, migliore. I modelli, i valori, le parole, il linguaggio, non sono quelli che si ascoltano seduti sul divano di casa. La televisione non racconta e non rappresenta con verità quello che siamo.

È un mondo a parte ormai. Fatto di avatar che magari parlano anche italiano, ma che si muovono e interagiscono tra di loro in maniera totalmente innaturale. Reality e realtà non sono la stessa cosa, anzi spesso sono l'opposto. Persino l'innaturale bianco e nero della vecchia tv era più colorato e realistico dei nostri modernissimi e piatti - in tutti sensi - schermi al plasma. Ho cercato, da ministro delle attività culturali e da sindaco di Roma, di praticare un'idea semplice, persino ovvia. La cultura è l'unicità italiana. E la sua irripetibilità è una delle nostre più grandi ricchezze.

Le attività culturali fanno crescere bene i giovani, offrono loro occasioni belle di incontro, ne esaltano la creatività, li avvicinano alle grandi questioni del loro tempo e del futuro. Non dimentichiamoci che l'arte mette in scena il patrimonio delle nostre esperienze vitali, e rivela i nuovi e ancora segreti bisogni degli uomini. La cultura serve alla politica più di quanto la politica serve alla cultura. Nella spinta verso il cambiamento non si può fare a meno di spalancare spazi alle nuove idee, alle nuove arti, all'espressione della nostra contemporaneità, alle ragazze e ai ragazzi curiosi del mondo, e che vogliono raccontarsi con ogni forma di comunicazione.

Non va dimenticato che l'Italia è il regno dell'arte e della bellezza, splende di una cultura antica e nobilissima. Là dove i doni della storia, gli oggetti testamentari dei nostri antenati sono lasciati da parte o poco valorizzati, lo Stato ha il dovere di riportare vita. Gli stranieri che vengono da noi a bearsi delle antiche virtù italiane, devono guardare al nostro presente con lo stesso rispetto e ammirazione. Bisogna lavorare affinché alla cultura, proprio perché testimone vivente della nostra ricchezza artistica, non si faccia la carità, non sia un costo oneroso, ma una risorsa importante, un'opportunità di lavoro e una fonte di orgoglio e benessere per tutti i cittadini, persino una parte di quella strategia di crescita del Pil che è la mia priorità.

Attualmente i vari comparti della cultura e dell'arte, dal cinema alla musica, ai concerti, alla danza, agli spettacoli dal vivo, eccetera non possono agire con scioltezza e velocità perché sono incagliati nelle more di una burocrazia complicata, contraddittoria, farraginosa e frustrante. Molto si può risparmiare, ad esempio, semplificando la vita dei luoghi e delle imprese culturali, liberandoli dai piccoli e grandi ricatti amministrativi. Si dovrà agire affinché il pubblico dei musei, degli spettacoli e i lettori di libri tornino centrali nella politica delle istituzioni culturali, com'è avvenuto all'Auditorium di Roma, fiore all'occhiello della città e del paese.

Solo in questo modo si potrà puntare a una reale produttività della cultura. Così come bisognerà stabilire al più presto i profili professionali di chi vi lavora, affrancandoli da una insopportabile condizione precaria. E anche nell'ambito dei diritti d'autore i democratici vogliono affrontare la materia, considerando l'artista e il creativo lavoratori a tutti gli effetti, con i loro doveri e i loro diritti. E questo perché senza la loro opera non esisterebbero né arte né cultura.

In armonia con le politiche europee, l'Italia deve pensare a difendere e a costruire per il futuro la sua specifica identità. E se è vero che il processo di globalizzazione tende a farci tutti uguali, a valorizzare i grandi numeri e ad abbandonare a se stessi i piccoli (dove spesso c'è il meglio), è anche vero che offre opportunità nuove, che richiedono da parte nostra coraggio, apertura mentale, prontezza creativa e imprenditoriale. Al contrario di ciò che si pensa, il villaggio globale non ha un solo, megagalattico mercato, ma tanti banchi capaci di soddisfare i gusti più lontani e più diversi.

Certo, noi tutti, anche individualmente, sentiamo la necessità di custodire la nostra singolarità, la nostra unicità, la nostra personalità. La scuola, in proposito, non dovrebbe rendere i ragazzi tutti uguali, ma agire affinché emergano le differenze. La globalizzazione non è un mostro ringhiante, e anche se lo fosse sarebbe vile e sciocco non domarlo. La cultura è fondamentale proprio perché protegge l'integrità etica e spirituale degli esseri umani.

Diceva André Malraux che la cultura è ciò che ha fatto dell'uomo qualcosa di diverso da un accidente del cosmo. Soltanto con una visione ampia, non corporativa della cultura, si è più efficienti e si possono aprire spazi al nuovo, anche sul piano creativo. La coscienza di lavorare tutti per il medesimo scopo, al servizio non solo di noi stessi, ma della comunità e dei nostri figli, è una qualità intrinseca, necessaria a ogni civiltà evoluta.

Oggi "l'impresa" culturale ha urgente bisogno di sveltezza e semplificazione burocratica, di leggi non conflittuali e di un'accorta politica di defiscalizzazione. L'obiettivo è tenere la cultura il più lontano possibile dalle ingerenze dei partiti. E la politica deve sapere che la ricchezza di un paese non si misura soltanto dal Pil. Si può essere desolatamente poveri anche con le tasche piene di soldi. C'è stato qualcuno, nel passato, che quando veniva minacciato dalla spada, rispondeva con l'arma dell'arte. Come dire che con la bellezza si possono anche vincere le guerre. Anzi, non farle proprio.


Wednesday, March 26, 2008

"CASA GRATIS IN CAMBIO DI SESSO" (da "Repubblica.it", Mar 26 - 2008)


L'inchiesta: in rete il mercato degli affitti hard.

Annunci espliciti o velati, rivolti a chi deve pagarsi gli studi.
Il caso scoppia in Francia. Un'inchiesta fotografa il fenomeno italiano.


C'E' chi scrive "cerco un aiuto domestico". E invece vuole sesso in cambio di un tetto, una stanza. Perché desidera una ragazza che si muova per casa, che entri ogni tanto gli faccia compagnia. Una donna con la quale ridere davanti alla tv. "Offro a ragazza italiana o europea max 32 anni posto in camera doppia centro di Milano. Completamente gratis. Prestazioni saltuarie da concordare. Sono un professionista di 29 anni, sano e pulito".

Per avere quella ragazza si va su internet, ci si affida ad una bacheca virtuale, un portale di annunci. Si spera che dall'altra parte, davanti al computer, ci sia una studentessa, magari fuori sede, senza troppi soldi. Una disponibile. E la si trova. Perché se decine e decine sono i messaggi di maschi che cercano e che ogni giorno vengono pubblicati da portali conosciuti e rispettabili, parecchie sono le risposte delle ragazze.

"Ho bisogno di mini appartamento e persona discreta con cui condividere affitto in zona centrale. Sconto in cambio di sesso". Repubblicatv ha incontrato gli uomini che preferiscono la scorciatoia. Ha risposto ai loro inviti lanciati dai siti più comuni: Kijiji, Porta Portese, Bakeka. Da una mail è nata una telefonata. Poi un appuntamento al bar. Dopo diversi imbarazzi ecco l'appartamento, la stanza, il conteggio dei rapporti. "Quante volte al mese?". Dipende. Davanti ad una persona in carne ed ossa, gli uomini sembrano più impacciati. Sospettosi. Il video che testimonia gli incontri (girato con telecamera nascosta) è all'indirizzo web tv. repubblica. it. Qui vi raccontiamo come è nata e cresciuta questa inchiesta.







LO STUDENTE
Marco ha un altro nome. Ma viene davvero dall'Abruzzo, studia Giurisprudenza a Roma, ha 23 anni. Lui su internet è spavaldo. Da Bakeka. it annuncia: "Offro a studentessa una stanza doppia, costo 270 euro. Per il pagamento chiedo solo prestazioni sessuali". Rispondiamo al messaggio, ci manda una mail con il suo numero di cellulare. Telefoniamo. È mattina. Lui è a casa a studiare. "Vediamoci, così parliamo con calma". Sì, ma quante volte, non vorrei ci fossero equivoci. "Ora non so dirti, è meglio se ci incontriamo".

Ci troviamo in un bar sulla via Tuscolana, non lontano da Cinecittà. Marco si nasconde dietro agli occhiali neri. Ha l'aria un po' arrogante. Ordina il caffè, si siede. Alza le lenti. Racconta. "Ci sono dei miei amici che lo fanno, hanno delle ragazze in casa. Sono studentesse pure loro. Solo che facendo sesso risparmiano sull'affitto. Io sto in una camera grande. C'è un letto a una piazza e mezza. Se vuoi quello lo do a te, ne possiamo mettere uno più piccolo vicino. Ogni mese pago 270 euro, in casa c'è pure un coinquilino. Tu magari potresti trasferirti piano piano. Così non se ne accorge il proprietario". Non voglio diventare una fidanzata, cosa ti aspetti, due o tre volte al mese? "Non lo so, te l'ho detto. Ma non faccio beneficenza, all'annuncio hanno già risposto tre ragazze prima di te. Non voglio forzature".

Un caso isolato? No. "Non si può dire quanti siano gli universitari che alimentano questo mercato - dice Giulia Serventi Longhi, direttrice di Studenti Magazine - ma dal nostro sito Studenti. it abbiamo lanciato due forum per sapere se in ateneo c'è chi usa il corpo per fare soldi. Pensavamo ad una provocazione, ci hanno risposto in tantissimi. C'è chi ha l'amico gigolò, chi la compagna che fa la camgirl e si spoglia davanti alla webcam. Se non si hanno problemi di coscienza, l'affitto in cambio di sesso è una strada percorribile".


IL QUARANTENNE
In Francia a gennaio è stato pubblicato il romanzo-confessione Mes chères études ("I miei cari studi") della ventenne Laura D. Senza falsi pudori la giovane parla delle sue esperienze di studentessa costretta a prostituirsi, via internet, per pagare le tasse universitarie. Il quotidiano "Le Figaro" si è occupato di sesso in facoltà: citando uno studio del sindacato Sud etudiantes del 2006 ha registrato che 40mila giovani tra i 19 ed i 25 anni erano pronti a concedersi per pagare rette e affitti. E un altro giornale, "Liberation", si è interessato al fenomeno del "sesso per un tetto": pagamenti in natura in cambio di una stanza o un appartamento.

Notizie che hanno colpito un inserzionista napoletano di 45 anni. Su Vivastreet. it ha pubblicato questo messaggio: "Annuncio serio. Come a Parigi. Offro gratuitamente una stanza arredata indipendente con bagno in palazzo signorile zona Vomero a studentessa universitaria. In cambio di due prestazioni sessuali mensili". Non siamo arrivati all'incontro. Il signore aveva già trovato compagnia.


L'UFFICIALE DELLA FINANZA
Lui ha 30 anni. Una casa grande. Intorno troppo silenzio, Arriva in anticipo in un bar sulla via Prenestina, a Roma. Vuole spiegare. "L'appartamento me l'ero venduto, adesso però lo sto ricomprando. Vorrei qualcuno con cui ridere se vedo un film comico, una persona con la quale scambiare due parole. Questa cosa del sesso sì, l'ho scritta. Ma adesso non so quantificare. Tu come fai? Quattro volte al mese che vuol dire? Conosciamoci, proviamo a capire di più. Non ti sto chiedendo di fare le pulizie. L'importante è avere in casa una persona fidata. Una che se lasci un braccialetto non te lo fa sparire".

Tra i vialetti dell'università "La Sapienza" nessuno si scandalizza. Entriamo in diverse facoltà, spieghiamo dell'inchiesta. Non si sorprendono. Molti studenti dicono che "non si fa per necessità, ma per avere una vita più facile". Però non vogliono giudicare. "Ne ho sentite parecchie di queste storie. Ognuno è libero. L'importante è non essere sfruttati".



per il video correlato copia ed incolla in una nuova pagina il link a seguire:
http://tv.repubblica.it/home_page.php?playmode=player&cont_id=18701

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Sunday, March 16, 2008

IL DRAMMATICO ERRORE DELL'EURO ALLE STELLE (da "Repubblica.it", Mar 16 - 2008)

C'è ancora molto da dire sulla situazione economica italiana dopo gli ultimi dati dell'Istat, della Banca d'Italia e della "Relazione unificata sull'economia e la finanza pubblica" (Ruef) che sostituisce la vecchia "Trimestrale di cassa". Stando a quest'ultimo documento il nostro debito pubblico alla fine del 2007 era diminuito di 2,5 punti in rapporto al Pil scendendo dal 106,5 al 104. Ben oltre le previsioni dello stesso Padoa-Schioppa.

Non si è riflettuto abbastanza su questo dato. I tanti Soloni (e Catoni) che sdottoreggiano sui mancati tagli della spesa, sulla dissipazione delle risorse e sul cattivo impiego del "tesoretto" tirando la croce addosso al governo Prodi e ai suoi ministri economici, hanno pressoché ignorato la diminuzione del debito sottolineando invece il rallentamento del Pil previsto per il 2008 dall'1,5 allo 0,6 per cento.

Capisco che il dimezzamento di una crescita già fiacca fa più notizia, ma i due fenomeni sono profondamente diversi. Il secondo dipende infatti interamente dall'andamento pessimo della congiuntura internazionale che è fuori dal controllo dei governi nazionali. Il primo invece è opera nostra e riguarda uno degli aspetti più delicati della nostra finanza pubblica.

L'andamento virtuoso del debito ha infatti una sola causa: la diminuzione della spesa corrente e quindi del disavanzo del Tesoro. Nel quinquennio berlusconiano la spesa aumentò di 2,5 punti di Pil, in cifre assolute 35 miliardi di euro. Nel biennio prodiano l'aumento della spesa è stato invece dell'1,4 (inferiore alla crescita del Pil).

Ci si dovrebbe chiedere da che cosa sia stato causato un divario così rilevante tra la maggiore spesa del governo Berlusconi-Tremonti e quella molto minore del governo Prodi-Padoa-Schioppa. Forse il primo ha alleviato i redditi individuali, i salari, le pensioni?

Oppure ha intrapreso una politica di lavori pubblici e di infrastrutture particolarmente consistente? Ha sostenuto i giovani, le famiglie, gli anziani? Non risulta che vi siano stati miglioramenti consistenti in queste voci della spesa sociale. I pochi provvedimenti in favore di quei settori e di quelle categorie sono stati effettuati in gran parte con sgravi fiscali e quindi con minori entrate. Ma la spesa è nel frattempo cresciuta in cifre relative e in cifre assolute. Dove sono andati a finire quei soldi?

In gran parte nella spesa sanitaria, abbandonata a se stessa senza controlli; e poi nei cosiddetti consumi intermedi della pubblica amministrazione, acquisti di beni e servizi che rappresentano quasi la metà della spesa corrente. Lì c'è stata la dilapidazione delle risorse senza alcun beneficio né per la crescita dell'economia né per la riorganizzazione della pubblica amministrazione centrale e locale.

Stupisce che questi processi siano passati quasi inavvertiti dinanzi all'opinione pubblica e ai cosiddetti esperti. Oggi ne abbiamo ufficiale conferma, certificata anche dalle autorità internazionali: la spesa pubblica è tornata sotto controllo mentre la lotta contro l'evasione ha fornito un surplus di entrate di 20 miliardi.

Tra maggiori entrate e minori spese si tratta dunque di 40 miliardi di euro che, pur in mezzo alla tempesta internazionale cominciata dal giugno scorso, hanno fatto diminuire il deficit ereditato dalla precedente legislatura dal 4 all'1,9 per cento, hanno ridotto il debito pubblico di 2,5 punti rispetto al Pil, hanno portato il disavanzo dello Stato al punto più basso degli ultimi nove anni.


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Purtroppo a questi buoni risultati nella pubblica finanza non hanno corrisposto analoghi segnali positivi nell'economia e nel benessere degli italiani. Anzi quel benessere è stato seriamente colpito, le condizioni degli individui e delle famiglie sono decisamente peggiorate, il costo della vita è aumentato, le retribuzioni (salari, stipendi, pensioni) sono sempre più insufficienti costringendo a diminuire i consumi sia in quantità sia in qualità.

L'Istat stima l'inflazione ufficiale intorno al 2,6 per cento ma quella dei generi di largo consumo ad oltre il 5. Particolarmente elevati i prezzi dei cereali, dell'energia, dei trasporti. Insomma l'ossatura del sistema, sia dal lato dei consumi sia da quello degli investimenti.

A che cosa si deve questa situazione di sofferenza e di precarietà economica e sociale? Aggravata da aspettative ancor più negative che si trasformano, come sempre avviene in questi casi, in ulteriori peggioramenti percepiti prima ancora di essere avvenuti?

La risposta è nei fatti: un miliardo di persone, soprattutto nei paesi asiatici, sta gradualmente entrando nel circuito dei consumi di qualità; quattro o cinque governi (India, Cina, Corea, Singapore, Indonesia) stanno investendo massicciamente nella modernizzazione dei rispettivi paesi.

Tutti questi elementi sono fuori dal controllo dei governi nazionali europei, dell'Europa nel suo insieme e perfino degli Stati Uniti d'America. È la nuova domanda a spingere in alto i prezzi dei cereali, del petrolio e dell'energia. Accrescere l'offerta di questi beni non è impossibile, ma procede con rapidità molto minore dell'irruente aumento di domanda dei nuovi consumatori. Per di più l'aumento dell'offerta non avverrà che in presenza di prezzi non inferiori al livello attualmente raggiunto.

Siamo così, in tutto l'Occidente, dinanzi ad un'inflazione importata dall'estero da paesi con sistemi economici diversi dai nostri, livelli retributivi decisamente più bassi, monete inconvertibili, Banche centrali non integrate con quelle occidentali. Da questo punto di vista la politica dei tassi d'interesse (e quindi il valore del cambio estero della moneta europea) attuata ormai da un anno dalla Banca europea è del tutto insensata. Per il rispetto dovuto a una grande istituzione la stampa si è finora astenuta dal prender di mira la Bce; i governi e l'Ecofin hanno fatto altrettanto. Ma ora l'errore e l'inspiegabile tenacia con cui la Banca mantiene un livello dei tassi sempre più squilibrato non può esser sottaciuto. Mantenere il tasso ufficiale dell'euro al 4 per cento con una forbice in continuo aumento rispetto al tasso della Fed che tra poco sarà la metà di quello europeo significa marciare ad occhi bendati verso il disastro.

Questa politica ha già spinto il cambio con il dollaro ad un'altezza insostenibile. Non soltanto con il dollaro ma anche con le altre monete che hanno cambi fissi con quella americana e quindi si svalutano con essa, a cominciare dallo yuan cinese. La conseguenza è quella di render difficilissime le esportazioni dell'Europa verso il resto del mondo, di bloccare il turismo diretto verso i nostri paesi e tra di essi di colpire soprattutto quelli come l'Italia le cui imprese operano principalmente in settori convenzionali con scarso valore aggiunto e bassa produttività.

Il futuro governo che uscirà tra un mese dalle urne dovrà dunque affrontare questi problemi in primissima battuta. L'indipendenza della Bce nella politica dei tassi d'interesse non può e non deve essere intaccata, ma la sua sovranità non si estende al cambio estero. Si tratta di due grandezze strettamente collegate ma che fanno capo ad istituzioni diverse. Perciò una dialettica tra il Consiglio dei ministri europei e la Banca centrale non è soltanto auspicabile ma a questo punto urgente e necessaria.


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I nostri due maggiori partiti che si fronteggiano in questa campagna elettorale dovranno comunque adottare provvedimenti rivolti a sostenere il potere d'acquisto dei ceti medi e inferiori della nostra società. Le tecnicalità sono diverse ma l'intento non può che esser comune: intervenire a sorreggere una domanda di consumi e di investimenti particolarmente calante e un flusso di esportazioni anch'esso in preoccupante ristagno.

Le risorse per finanziare questa strategia sono scarse sicché una politica anticiclica di "deficit spending" è diventata inevitabile. È la sola strada per sollevare il livello di crescita del Pil almeno fino al livello dell'1 per cento dall'attuale previsione dello 0,6. Ma poiché questa politica non potrà attuarsi prima del prossimo mese di maggio e avrà dunque dinanzi a sé soltanto il secondo semestre dell'anno, diventerà necessario adottare misure di impatto immediato sulla realtà economica. Soprattutto bisognerà iniettare nel sistema non solo risorse materiali ma anche fiducia per rovesciare le aspettative dei consumatori e delle imprese.

Si discute tra gli economisti se un'operazione di sostegno della domanda avrà gli effetti desiderati oppure - come in altre occasioni è accaduto - non sarà immobilizzata dai beneficiari in impegni liquidi anziché in un'espansione dell'economia. Ma l'attuale compressione della domanda è arrivata ad un punto tale da rendere impensabile la tesorizzazione della liquidità. Perciò l'effetto desiderato avrà sicuramente luogo.

Al timore che si possa determinare accanto all'inflazione importata un'ulteriore impennata dovuta al rilancio della domanda interna si dovrà rispondere aumentando il livello della libera concorrenza, spingendo avanti le liberalizzazioni e agganciando le retribuzioni non all'inflazione ma alla produttività del sistema.

Lo ripeto: non c'è altra via. Da questo punto di vista è stato un gravissimo errore quello del centrodestra di non aver risposto positivamente all'invito di Veltroni, ancora rinnovato in questi ultimi giorni, di render possibile da subito un accordo bipartisan sull'attuazione di provvedimenti di detassazione dei salari dei lavoratori dipendenti. Avremmo guadagnato mesi preziosi, riconciliato imprenditori e sindacati, diminuito la distanza tra società e istituzioni. Forze politiche che avessero a cuore gli interessi del paese avrebbero accettato quella proposta. Tanto più sbagliato e odioso appare il rifiuto che è stato opposto e l'egoismo elettorale che l'ha motivato.

Post Scriptum. Una parola sul "protezionismo" sostenuto da Tremonti nelle sue recenti sortite. Molti l'hanno preso sul serio e ne hanno fatto motivo di polemica mostrandone gli aspetti perversi che avrebbe sull'economia.

Concordo sulla loro perversità ma debbo avvertire che un protezionismo nazionale è del tutto incompatibile con la nostra appartenenza all'Unione europea che è la sede esclusiva per poter decidere se le frontiere debbano restare aperte o invece presidiate da dazi e contingentamenti nei confronti del resto del mondo. Lo stesso Tremonti ne è del resto pienamente consapevole e l'ha scritto nel pamphlet che contiene quell'improvvida proposta.

La sua era dunque soltanto una provocazione, forse un "lanciare la palla in tribuna" per non affrontare argomenti assai più spinosi e realistici d'un protezionismo al di fuori della nostra portata. Poiché l'ex ministro dell'Economia berlusconiana conosce bene i problemi che abbiamo di fronte avrebbe potuto impegnare assai meglio il suo talento e la sua influenza inducendo il leader di Forza Italia ad accettare la proposta di Veltroni. Così pure avrebbe potuto spendersi per far accettare l'altra proposta del Partito democratico di tagliare fin da ora il costo del finanziamento pubblico dei partiti. Due segnali importanti che avrebbero potuto esser dati e che invece sono stati soffocati dall'assordante silenzio di chi parla nei momenti sbagliati e tace in quelli opportuni.


Saturday, March 15, 2008

CARISSIMA, INEFFICIENTE E INOSPITALE (da "Repubblica.it", Mar 15 - 2008)

Foto impietosa da un sondaggio tra i giovani stranieri che hanno scelto gli atenei italiani. "Trovare casa è un inferno, i professori non sono all'altezza e nessuno parla inglese".






ROMA - Sarà anche il Belpaese, ricco di storia e bellezze artistiche, ma venirci a studiare è un vero inferno. A stroncare l'Italia e il suo sistema universitario sono gli studenti stranieri del progetto Erasmus che hanno scelto la Penisola per il loro periodo di formazione all'estero.

La fotografia che emerge da un questionario realizzato dalla free press "Studenti Magazine" e dall'associazione "Erasmus Student network Italia" è davvero impietoso, ma difficilmente contestabile. Il nostro paese, sottolineano i 1500 giovani interpellati provenienti da 28 paesi diversi e distribuiti in 27 diverse città italiane, è "costosissimo", "incapace di garantire un alloggio a prezzi contenuti" e un posto "dove l'inglese è una lingua di cui si fa a meno".

Il problema più sentito è il costo della vita. L'83% degli intervistati dichiara di spendere di più in Italia rispetto al proprio paese. La voce più costosa è al solito l'affitto (per il 69%). Seguono il cibo per il 14,4% e il divertimento per il 12,6. Il 4% trova invece particolarmente costosi i libri. A tanto dispendio non corrispondono però atenei all'altezza delle attese. Il 71% degli intervistati ritiene l'università italiana peggiore di quella del proprio paese. Per il 39,6% la ragione principale è il pessimo stato delle strutture. Seguono la scarsità dei servizi web per il 24,4%, la difficoltà nel raggiungere informazioni per il 19,5% e la scarsa professionalità dei professori per il 16,5%.

Una larga maggioranza di studenti stranieri (il 66%), una volta arrivata in Italia ha incontrato difficoltà nel trovare un alloggio, condividendo quindi gli stessi problemi dei nostri fuorisede. I problemi più lamentati sono il caro affitti e la fatiscenza dei locali, ma un 20,8% dei partecipanti al questionario denuncia anche il razzismo dei proprietari che non affittano a stranieri.

In un ambiente cos
ì ostile a rendere il tutto ancora più problematico è la difficoltà a trovare qualcuno in grado di esprimersi in inglese. Solo l'1.4% degli intervistati ritiene indispensabile conoscere l'inglese in Italia, contro il 46.6% che lo ritiene assolutamente inutile.

Eppure l'Italia continua ad esercitare un certo fascino sui giovani universitari di tutta Europa. La ragione, spiegano gli intervistati, è che malgrado i problemi il Belpaese conserva ancora un certo carisma. Ma se il 97% degli studenti spiega di averci scelto perché "sempre attratto dal Belpaese", alla fine del soggiorno solo il 60% vi ritornerebbe ad occhi chiusi.