Monday, January 28, 2008

QUEI LUNGHI SILENZI SULL'AGONIA DI WOJTYLA (da "Micromega", Sept 14 - 2007)


Era prevedibile che il saggio dal titolo "La dolce morte di Karol Wojtyla", pubblicato dalla dott.ssa Lina Pavanelli a pagina 128 del numero 5/2007 della rivista MicroMega. Almanacco di filosofia, diretto da Paolo Flores D’Arcais, anticipato lo stesso giorno da la Repubblica, avrebbe suscitato un grande dibattito. E ancora di più, perché per coincidenza (ma "il caso non esiste"), il numero di MicroMega, che contiene la dettagliata ricostruzione delle condizioni di salute nelle ultime settimane di vita di papa Giovanni Paolo II, in edicola lo stesso giorno (venerdì 14 settembre, festa liturgica dell’Esaltazione della Santa Croce) in cui la Santa Sede ribadiva solennemente che la mancata somministrazione di nutrimento, se necessario per via artificiale - non solo al malato grave, ma perfino ad un corpo umano in stato vegetativo e con encefalogramma piatto - costituiva comportamento eutanasico.«La dolce morte di papa Wojtyla», il mio articolo comparso sull’ultimo numero di MicroMega, ha già provocato numerose reazioni. Sulla stampa nazionale sono comparse, fino ad ora, due pubblicazioni di rilievo: l’articolo di Luigi Accattoli sul Corriere della Sera del 15 settembre, dal titolo «Quel sondino che nutriva Wojtyla (ma l’annuncio arrivò molto dopo)», e l’intervista di Orazio La Rocca al medico personale di Karol Wojtyla, il prof. Renato Buzzonetti, «Così mori papa Wojtyla», comparsa su la Repubblica il 16 settembre.

Lina Pavanelli - ferrarese, medico anestesista e responsabile provinciale sanità dei Verdi di Ferrara, già professore associato di anestesia dell'Arcispedale Sant'Anna di Ferrara e direttore della Scuola di specializzazione per infermieri - compie un’attenta analisi delle condizioni di salute del servo di Dio Papa Giovanni Paolo nelle ultime settimane della sua esistenza, in cui dimostra che non gli sono state praticate alcune cure, quelle stesse cure che si volevano continuare ad applicare nel caso di Piergiorgio Welby, che avrebbero potuto tenerlo in vita ancora a lungo, che però il vecchio papa ha rifiutate perché le considerava troppo gravose. Conclude chiedendo quale differenza intercorra sul piano morale, tra il rifiutare un sondino per essere alimentati e il rifiutare una macchina per respirare, mettendo "la dolce morte di Wojtyla" in correlazione con quella "negata" a Piergiorgio Welby. Riferendosi alla differenza tra la morte di papa Giovanni Paolo II e quella di Welby, scrive: "Noi profani non siamo in grado di coglierla (la differenza), ma ci deve essere e deve essere grande, se per Karol Wojtyla è stato iniziato un processo di canonizzazione, mentre a Piergiorgio Welby è stato negato il funerale cattolico". Secondo la dott.ssa Pavanelli infatti entrambi sarebbero morti a causa del rifiuto del supporto artificiale alle funzioni vitali. Precede il suo articolo su MicroMega una citazione dal vangelo di Matteo: "Perché osservi la pagliuzza nell’occhio del tuo fratello, mentre non ti accorgi della trave che hai nel tuo occhio?" (Mt 7,3).








Non è passato neanche un anno dalla morte di Piergiorgio Welby, ma sembra molto lontana. Aspra è stata la polemica fra laici e rappresentanti autorevoli del potere cattolico sui diritti del malato, eutanasia e accanimento terapeutico.

Il Santo Padre fu ricoverato d’urgenza al policlinico Gemelli l’1 febbraio 2005 per una «laringo-tracheite acuta con laringospasmo» che aveva provocato una drammatica crisi respiratoria. Rimase sotto controllo dieci giorni e poi fu dimesso. Due settimane più tardi il quadro clinico si ripresentò con maggiore gravità, per cui il paziente fu nuovamente ricoverato d’urgenza. Il giorno seguente il ricovero gli fu praticata una tracheostomia e gli fu inserita una cannula respiratoria.

Ci venne spiegato che la causa di queste crisi era una «stenosi funzionale della laringe». La degenza questa volta fu di circa venti giorni, e il paziente venne dimesso il 13 marzo. Nei giorni seguenti il Santo Padre fece due brevi apparizioni alla finestra del suo appartamento senza essere in grado di parlare. I125 marzo fu ripreso di schiena mentre seguiva dal suo studio la via crucis. Si affacciò per l’ultima volta alla finestra dell’appartamento pontificio il 30 marzo. Il giorno seguente avvenne il tracollo, apparentemente a causa di una cistite acuta, che provocò uno shock settico. Morì due giorni dopo.

La stenosi funzionale laringea che affliggeva il papa era una condizione non reversibile, perciò, se il problema delle vie respiratorie non fosse stato risolto, il paziente sarebbe andato incontro a crisi asfittiche sempre più frequenti e pericolose. La situazione del paziente era tal- mente rischiosa che il dottor Buzzonetti aveva, preventivamente, ritenuto indispensabile organizzare sotto la sua personale direzione una struttura complessa, in grado di poter assicurare il controllo permanente del suo assistito. Nel suo libro spiega di aver attivato «un’equipe vaticana multidisciplinare, composta da dieci medici rianimatori, da specialisti di cardiologia, di otorinolaringoiatria, di medicina interna, di radiologia e di patologia clinica, coadiuvati da quattro infermieri professionali».

Grazie alla pronta assistenza assicurata da questa organizzazione, il Santo Padre non morì durante la crisi che lo condusse al secondo ricovero. Il pericolo corso però era stato tale che, in questa seconda occasione, fu eseguito subito l’unico atto terapeutico risolutivo della situazione patologica: il confezionamento di una via respiratoria alternativa (tracheostomia) che, vista la patologia soggiacente, non poteva che essere definitiva.

Dal primo ricovero fino all’ultima crisi, tutte le comunicazioni trasmesse dal portavoce del Vaticano erano focalizzate sull’aspetto respiratorio e fonatorio.

L’immagine che però mi restava in mente era anche una crudele, fredda, esposizione di dati evidenti. Il paziente era morto per ragioni che chiaramente non erano state menzionate.

Il papa stava morendo per un’altra conseguenza del coinvolgimento dei muscoli faringo-laringei provocata dal morbo di Parkinson, una conseguenza più lenta a manifestarsi ma che, se non trattata, è ugualmente pericolosa: l’incapacità di deglutire.

Non potendo deglutire, il paziente non era in grado di alimentarsi. Sul pontefice, nell’ultimo mese di vitale conseguenze di questa menomazione erano clamorosamente visibili.

Non avrebbe potuto essere altrimenti: l’apporto nutrizionale era irrisorio, e probabilmente anche l’assunzione dei liquidi era insufficiente. La sua struttura muscolare debilitata dalla denutrizione, oltre che dal morbo di Parkinson, era ormai talmente debole da rendergli faticosa la respirazione anche attraverso la cannula ma soprattutto - questa è la cosa più grave - il sistema immunitario, compromesso dalla denutrizione, era ormai così depresso da non assicurargli più alcuna difesa, per cui una banale infezione è potuta diventare mortale in poche ore.

Nel pomeriggio dello stesso giorno la gravità estrema della situazione convinse finalmente i clinici ad inserire quel sondino che avrebbe dovuto essere stato già collocato da settimane. Troppo tardi.

hiarisco subito che non ho critiche da muovere nei confronti dei medici del papa, anzi, li capisco. Hanno lasciato che il Santo Padre deperisse giorno per giorno, come testimoniano le immagini di quel periodo, nonostante si rendessero conto che in quelle condizioni non avrebbe potuto sopravvivere a lungo.

L’ultimo giorno prima del «crollo» finale il sondino nutrizionale venne applicato. E stato un atto troppo tardivo per essere di utilità al paziente, ma rivela il dramma e il conflitto vissuto dai medici.

È il caso di domandarsi il perché tanta avarizia di notizie, insieme al silenzio da parte di tutti gli organi d’informazione vaticani sulla patologia che portò il papa alla morte. Impossibile dare una risposta, ma è certo che, in questo caso, la «riservatezza» ha aiutato a coprire un’evidente contraddizione tra l’esperienza umana di Karol Wojtyla - in qualità di paziente - e le dottrine del «bene oggettivo», da lui pubblicate, che sono la questione capitale delle crociate politiche degli organi istituzionali della Chiesa.

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