C'è ancora molto da dire sulla situazione economica italiana dopo gli ultimi dati dell'Istat, della Banca d'Italia e della "Relazione unificata sull'economia e la finanza pubblica" (Ruef) che sostituisce la vecchia "Trimestrale di cassa". Stando a quest'ultimo documento il nostro debito pubblico alla fine del 2007 era diminuito di 2,5 punti in rapporto al Pil scendendo dal 106,5 al 104. Ben oltre le previsioni dello stesso Padoa-Schioppa.
Non si è riflettuto abbastanza su questo dato. I tanti Soloni (e Catoni) che sdottoreggiano sui mancati tagli della spesa, sulla dissipazione delle risorse e sul cattivo impiego del "tesoretto" tirando la croce addosso al governo Prodi e ai suoi ministri economici, hanno pressoché ignorato la diminuzione del debito sottolineando invece il rallentamento del Pil previsto per il 2008 dall'1,5 allo 0,6 per cento.
Capisco che il dimezzamento di una crescita già fiacca fa più notizia, ma i due fenomeni sono profondamente diversi. Il secondo dipende infatti interamente dall'andamento pessimo della congiuntura internazionale che è fuori dal controllo dei governi nazionali. Il primo invece è opera nostra e riguarda uno degli aspetti più delicati della nostra finanza pubblica.
L'andamento virtuoso del debito ha infatti una sola causa: la diminuzione della spesa corrente e quindi del disavanzo del Tesoro. Nel quinquennio berlusconiano la spesa aumentò di 2,5 punti di Pil, in cifre assolute 35 miliardi di euro. Nel biennio prodiano l'aumento della spesa è stato invece dell'1,4 (inferiore alla crescita del Pil).
Ci si dovrebbe chiedere da che cosa sia stato causato un divario così rilevante tra la maggiore spesa del governo Berlusconi-Tremonti e quella molto minore del governo Prodi-Padoa-Schioppa. Forse il primo ha alleviato i redditi individuali, i salari, le pensioni?
Oppure ha intrapreso una politica di lavori pubblici e di infrastrutture particolarmente consistente? Ha sostenuto i giovani, le famiglie, gli anziani? Non risulta che vi siano stati miglioramenti consistenti in queste voci della spesa sociale. I pochi provvedimenti in favore di quei settori e di quelle categorie sono stati effettuati in gran parte con sgravi fiscali e quindi con minori entrate. Ma la spesa è nel frattempo cresciuta in cifre relative e in cifre assolute. Dove sono andati a finire quei soldi?
In gran parte nella spesa sanitaria, abbandonata a se stessa senza controlli; e poi nei cosiddetti consumi intermedi della pubblica amministrazione, acquisti di beni e servizi che rappresentano quasi la metà della spesa corrente. Lì c'è stata la dilapidazione delle risorse senza alcun beneficio né per la crescita dell'economia né per la riorganizzazione della pubblica amministrazione centrale e locale.
Stupisce che questi processi siano passati quasi inavvertiti dinanzi all'opinione pubblica e ai cosiddetti esperti. Oggi ne abbiamo ufficiale conferma, certificata anche dalle autorità internazionali: la spesa pubblica è tornata sotto controllo mentre la lotta contro l'evasione ha fornito un surplus di entrate di 20 miliardi.
Tra maggiori entrate e minori spese si tratta dunque di 40 miliardi di euro che, pur in mezzo alla tempesta internazionale cominciata dal giugno scorso, hanno fatto diminuire il deficit ereditato dalla precedente legislatura dal 4 all'1,9 per cento, hanno ridotto il debito pubblico di 2,5 punti rispetto al Pil, hanno portato il disavanzo dello Stato al punto più basso degli ultimi nove anni.
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Purtroppo a questi buoni risultati nella pubblica finanza non hanno corrisposto analoghi segnali positivi nell'economia e nel benessere degli italiani. Anzi quel benessere è stato seriamente colpito, le condizioni degli individui e delle famiglie sono decisamente peggiorate, il costo della vita è aumentato, le retribuzioni (salari, stipendi, pensioni) sono sempre più insufficienti costringendo a diminuire i consumi sia in quantità sia in qualità.
L'Istat stima l'inflazione ufficiale intorno al 2,6 per cento ma quella dei generi di largo consumo ad oltre il 5. Particolarmente elevati i prezzi dei cereali, dell'energia, dei trasporti. Insomma l'ossatura del sistema, sia dal lato dei consumi sia da quello degli investimenti.
A che cosa si deve questa situazione di sofferenza e di precarietà economica e sociale? Aggravata da aspettative ancor più negative che si trasformano, come sempre avviene in questi casi, in ulteriori peggioramenti percepiti prima ancora di essere avvenuti?
La risposta è nei fatti: un miliardo di persone, soprattutto nei paesi asiatici, sta gradualmente entrando nel circuito dei consumi di qualità; quattro o cinque governi (India, Cina, Corea, Singapore, Indonesia) stanno investendo massicciamente nella modernizzazione dei rispettivi paesi.
Tutti questi elementi sono fuori dal controllo dei governi nazionali europei, dell'Europa nel suo insieme e perfino degli Stati Uniti d'America. È la nuova domanda a spingere in alto i prezzi dei cereali, del petrolio e dell'energia. Accrescere l'offerta di questi beni non è impossibile, ma procede con rapidità molto minore dell'irruente aumento di domanda dei nuovi consumatori. Per di più l'aumento dell'offerta non avverrà che in presenza di prezzi non inferiori al livello attualmente raggiunto.
Siamo così, in tutto l'Occidente, dinanzi ad un'inflazione importata dall'estero da paesi con sistemi economici diversi dai nostri, livelli retributivi decisamente più bassi, monete inconvertibili, Banche centrali non integrate con quelle occidentali. Da questo punto di vista la politica dei tassi d'interesse (e quindi il valore del cambio estero della moneta europea) attuata ormai da un anno dalla Banca europea è del tutto insensata. Per il rispetto dovuto a una grande istituzione la stampa si è finora astenuta dal prender di mira la Bce; i governi e l'Ecofin hanno fatto altrettanto. Ma ora l'errore e l'inspiegabile tenacia con cui la Banca mantiene un livello dei tassi sempre più squilibrato non può esser sottaciuto. Mantenere il tasso ufficiale dell'euro al 4 per cento con una forbice in continuo aumento rispetto al tasso della Fed che tra poco sarà la metà di quello europeo significa marciare ad occhi bendati verso il disastro.
Questa politica ha già spinto il cambio con il dollaro ad un'altezza insostenibile. Non soltanto con il dollaro ma anche con le altre monete che hanno cambi fissi con quella americana e quindi si svalutano con essa, a cominciare dallo yuan cinese. La conseguenza è quella di render difficilissime le esportazioni dell'Europa verso il resto del mondo, di bloccare il turismo diretto verso i nostri paesi e tra di essi di colpire soprattutto quelli come l'Italia le cui imprese operano principalmente in settori convenzionali con scarso valore aggiunto e bassa produttività.
Il futuro governo che uscirà tra un mese dalle urne dovrà dunque affrontare questi problemi in primissima battuta. L'indipendenza della Bce nella politica dei tassi d'interesse non può e non deve essere intaccata, ma la sua sovranità non si estende al cambio estero. Si tratta di due grandezze strettamente collegate ma che fanno capo ad istituzioni diverse. Perciò una dialettica tra il Consiglio dei ministri europei e la Banca centrale non è soltanto auspicabile ma a questo punto urgente e necessaria.
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I nostri due maggiori partiti che si fronteggiano in questa campagna elettorale dovranno comunque adottare provvedimenti rivolti a sostenere il potere d'acquisto dei ceti medi e inferiori della nostra società. Le tecnicalità sono diverse ma l'intento non può che esser comune: intervenire a sorreggere una domanda di consumi e di investimenti particolarmente calante e un flusso di esportazioni anch'esso in preoccupante ristagno.
Le risorse per finanziare questa strategia sono scarse sicché una politica anticiclica di "deficit spending" è diventata inevitabile. È la sola strada per sollevare il livello di crescita del Pil almeno fino al livello dell'1 per cento dall'attuale previsione dello 0,6. Ma poiché questa politica non potrà attuarsi prima del prossimo mese di maggio e avrà dunque dinanzi a sé soltanto il secondo semestre dell'anno, diventerà necessario adottare misure di impatto immediato sulla realtà economica. Soprattutto bisognerà iniettare nel sistema non solo risorse materiali ma anche fiducia per rovesciare le aspettative dei consumatori e delle imprese.
Si discute tra gli economisti se un'operazione di sostegno della domanda avrà gli effetti desiderati oppure - come in altre occasioni è accaduto - non sarà immobilizzata dai beneficiari in impegni liquidi anziché in un'espansione dell'economia. Ma l'attuale compressione della domanda è arrivata ad un punto tale da rendere impensabile la tesorizzazione della liquidità. Perciò l'effetto desiderato avrà sicuramente luogo.
Al timore che si possa determinare accanto all'inflazione importata un'ulteriore impennata dovuta al rilancio della domanda interna si dovrà rispondere aumentando il livello della libera concorrenza, spingendo avanti le liberalizzazioni e agganciando le retribuzioni non all'inflazione ma alla produttività del sistema.
Lo ripeto: non c'è altra via. Da questo punto di vista è stato un gravissimo errore quello del centrodestra di non aver risposto positivamente all'invito di Veltroni, ancora rinnovato in questi ultimi giorni, di render possibile da subito un accordo bipartisan sull'attuazione di provvedimenti di detassazione dei salari dei lavoratori dipendenti. Avremmo guadagnato mesi preziosi, riconciliato imprenditori e sindacati, diminuito la distanza tra società e istituzioni. Forze politiche che avessero a cuore gli interessi del paese avrebbero accettato quella proposta. Tanto più sbagliato e odioso appare il rifiuto che è stato opposto e l'egoismo elettorale che l'ha motivato.
Post Scriptum. Una parola sul "protezionismo" sostenuto da Tremonti nelle sue recenti sortite. Molti l'hanno preso sul serio e ne hanno fatto motivo di polemica mostrandone gli aspetti perversi che avrebbe sull'economia.
Concordo sulla loro perversità ma debbo avvertire che un protezionismo nazionale è del tutto incompatibile con la nostra appartenenza all'Unione europea che è la sede esclusiva per poter decidere se le frontiere debbano restare aperte o invece presidiate da dazi e contingentamenti nei confronti del resto del mondo. Lo stesso Tremonti ne è del resto pienamente consapevole e l'ha scritto nel pamphlet che contiene quell'improvvida proposta.
La sua era dunque soltanto una provocazione, forse un "lanciare la palla in tribuna" per non affrontare argomenti assai più spinosi e realistici d'un protezionismo al di fuori della nostra portata. Poiché l'ex ministro dell'Economia berlusconiana conosce bene i problemi che abbiamo di fronte avrebbe potuto impegnare assai meglio il suo talento e la sua influenza inducendo il leader di Forza Italia ad accettare la proposta di Veltroni. Così pure avrebbe potuto spendersi per far accettare l'altra proposta del Partito democratico di tagliare fin da ora il costo del finanziamento pubblico dei partiti. Due segnali importanti che avrebbero potuto esser dati e che invece sono stati soffocati dall'assordante silenzio di chi parla nei momenti sbagliati e tace in quelli opportuni.
Sunday, March 16, 2008
IL DRAMMATICO ERRORE DELL'EURO ALLE STELLE (da "Repubblica.it", Mar 16 - 2008)
Pubblicato da
Tomatogeezer
a
10:09 PM
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